LA MERAVIGLIA DELLA VITA

di Michela


Parte 1

Fino a pochi giorni prima, Joe era stato convinto di aver completato egregiamente la parte iniziale della missione… tutto era andato secondo i suoi calcoli: Françoise aveva sostituito il caffè mattutino con una tisana allo zenzero, tentava di berla distesa sul divano invece di sedere con lui al tavolo in soggiorno; era sempre attivissima ma ogni tanto si faceva pensierosa senza nemmeno rendersene conto, si posava distrattamente una mano sul ventre, inceneriva buona parte dei suoi vestiti perché mentre stirava aveva ben altro davanti agli occhi, bruciava molto spesso la colazione che puntualmente non mangiava – oppure ci provava, e poi scappava via – ed era un concentrato di instabilità, cioè: si asciugava le lacrime fissando esterrefatta le dita umide, piangeva come se non ci fosse un domani e rideva come se la vita - quella bella, quella con lui - fosse destinata a durare in eterno.
Chiaramente, non aveva il ciclo da qualcosa come due mesi… con altrettanta chiarezza, Joe sapeva che era incinta… e non era niente di troppo strano, ci stavano provando da un po’, lo desideravano entrambi… infatti, la prima parte della missione doveva concludersi con Françoise che gli saltava addosso facendogli piantare la schiena contro il mobile malefico di turno, aggrappandosi al suo collo come incapace di tenersi in piedi.
Joe avrebbe capito che un po’ era vero, che al solo pensiero di far crescere qualcosa di loro dentro Françoise tremavano davvero le gambe, ma non era un problema: lui avrebbe sospirato, le sue gambe se le sarebbe tenute strette in vita e tra le braccia, le avrebbe premuto la fronte contro la linea dolce del collo e le avrebbe mormorato un «grazie» sulla pelle – che non era solo «grazie per avermi dato una famiglia», era più un «grazie per tutta la vita che ti porti dentro e che mi butti addosso» -.
Il problema era che Françoise non gli aveva detto proprio niente, si ostinava a tenere la notizia per sé… e lui non riusciva a immaginare per quale motivo avesse le braccia vuote ed un muro di silenzio a dividerlo da lei…
“Fran, se non lo vuoi lo mangio io!”
Tuttavia Joe non riusciva a immaginare nemmeno perché avesse un presunto migliore amico tanto chiassoso e irruento, perciò tentava di non preoccuparsi per tutte le cose che continuavano a sfuggirgli.
Osservò con attenzione Françoise che porgeva il resto della sua colazione a Jet, senza neanche fargli notare che a suo parere nello stomaco di lui doveva esserci la fossa delle Marianne.
Jet afferrò perplesso la metà di un croissant tutto sbocconcellato e lo masticò lentamente…
“Non mi dici niente, Fran?”
Françoise si alzò di scatto, con la mano posata sul ventre…
“Scusate…”, corse verso il corridoio senza nemmeno degnarli di un’altra occhiata.
Catherine la seguì in un battito di ciglia, e Joe non seppe se esserne sollevato o alzarsi lo stesso anche lui… non voleva farle capire che lui sapeva tutto in quel modo, ma non voleva nemmeno essere lasciato indietro…
“Secondo te mangio in maniera tanto disgustosa?...” chiese Jet, stoicamente pronto a prendersi la colpa di tutto l’accaduto…
“Anche se tu non sei proprio la persona giusta a cui chiederlo…”, gli fece notare dopo un po’, con una luce particolare negli occhi.
Joe sospirò… avevano solo diciotto anni quando facevano a gara per stabilire chi fosse capace di mangiare più panini dopo la vittoria in una missione…
Ora ne avevano ventisei... e al posto dei sandwiches avrebbero trangugiato croissant…
Poi avrebbero seguito Françoise nel bagno, con una nausea pazzesca… e invece di trovarci un’amica pronta ad asciugare a entrambi il sudore dalla fronte ci avrebbero trovato qualcuno disposto a ricordargli quanto fossero imbecilli… più o meno.
Ma Joe decise di non pensarci troppo mentre spalmava la marmellata dentro il terzo croissant della giornata, con Jet che lo guardava compiaciuto: lui era già al quarto…
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Joe non avrebbe saputo dire il momento preciso in cui era successo, ma a un certo punto si era reso conto che Françoise passava troppo tempo a guardare le sue lacrime invece che a ridere… gli raccontava che era stanca per il lavoro, che stavano perdendo un sacco di pazienti in ospedale ultimamente e che il dottor Gilmoure quando voleva sapeva essere molto stressante… tutto vero, Joe sapeva che lei non gli avrebbe mai mentito… però, allo stesso tempo, Joe sapeva anche che il peso di quello che lei stava tentando di nascondergli era per qualche motivo diventato insostenibile.
Era deciso a parlarle quella sera stessa, senza troppi preamboli… lei in ogni caso lo avrebbe abbracciato, poi avrebbe dovuto spiegargli come mai si fosse premurata di costruire tutto quel mistero dietro ad una cosa tanto naturale, che desideravano entrambi.
Gli avrebbe sorriso, spiegandogli che non c’era niente di strano o sbagliato, che le erano solo mancate le parole per qualche giorno… Joe si ripeté che le cose sarebbero andate così, senza complicazioni… però si ripeteva anche che lui non aveva scelto una moglie incapace di dirgli la verità per debolezza… al massimo, se si comportava così, Françoise lo faceva per premura.
E allora Joe tremava un po’, piegava le dita irrigidite e le bloccava prima di conficcarsi le unghie nei palmi delle mani… lasciava che gli ultimi raggi del sole gli ferissero gli occhi, e più il sole si spegneva, più gli risultava difficile starsene calmo con le gambe penzoloni sull’amaca del giardino.
Stava quasi per rientrare in casa a prendersela con qualche cosa, qualsiasi cosa, quando sentì dei passi concitati nel vialetto, accompagnati da un paio di imprecazioni… Françoise doveva essere abbastanza nervosa.
Ci mise un po’ a notarlo e qualche momento in più per reagire alla serietà della sua espressione… gli si avvicinò con prudenza, abbandonando a terra la borsa…
“Qualcosa non va, Joe?”
Lui la osservò con sguardo fermo: Françoise aveva le occhiaie un po’ troppo marcate, le labbra screpolate, il corpo era esile, il ventre…
Joe infilò la mano sotto la sua maglia… scoprì di avere timore di premere troppo dopo averle sfiorato il fianco… lei lo lasciò fare, però aveva reagito al suo tocco, si era un po’ irrigidita… Joe trovò che la pelle era sempre uguale, liscia, con una piccola cicatrice a sinistra… apparentemente era sempre molto fine e delicata, tanto che sotto le dita poteva sentire il ritmo con cui il cuore portava verso il basso tutto quel sangue, quello che stava nutrendo un esserino minuscolo, non più di un ammasso di qualcosa che forse a vederlo lo avrebbe anche impressionato un po’…
“Joe…” la sentì esitare “…da quanto tempo lo sai?”
“Dalla prima volta che hai messo lo zenzero nella colazione…” rispose… e gliel’avrebbe anche portata a letto, quella maledetta colazione, perché sapeva che le avrebbe fatto bene mangiare un po’ distesa… lo avrebbe fatto, con tanto di sonno negli occhi ed i capelli spettinati, ma lei non gli stava permettendo di fare niente del genere.
Françoise sollevò il braccio, gli posò una mano sul viso delicatamente… lo accarezzava, ma la sua mano tremava più del solito, di un’emozione terribile… continuò a sfiorargli i capelli sulla nuca, si fece più vicina ponendosi tra le sue gambe e poi attirò il viso di lui sul proprio ventre nudo.
Joe chiuse gli occhi per un istante, tentando di godersi la pace sconosciuta che gli avrebbe trasmesso il pensiero che per la prima volta fossero in tre e tanto vicini… non ci riuscì benissimo, ed ebbe appena il tempo di sollevare il viso che Françoise quasi gli crollò tra le braccia…
“Non potevo dirtelo…” mormorò “…non sapevo come dirtelo perché il dottor Gilmoure dice che la gravidanza è a rischio e pur con la sua supervisione ci vorrà ancora un po’ per essere certi che… per avere la certezza che andrà avanti… capisci?”
Joe annuì velocemente… si era aspettato qualcosa del genere, dopotutto erano cyborgs, non erano veri e propri esseri umani… i loro corpi non erano completamente umani... aveva anche tentato di prepararsi alla notizia, ma capì che tutti i preparativi non avevano funzionato proprio a dovere… altrimenti non avrebbe sentito quel vuoto nello stomaco come se fosse stato lui ad avere la fossa delle Marianne scavata nella pancia, e se fosse stato davvero pronto non avrebbe nemmeno sentito quella stretta micidiale nel petto appena il cuore aveva cominciato a battere impazzito, né avrebbe avuto la gola secca, le labbra serrate… forse era vero che per certe cose non c’erano parole adatte, anche se lui aveva sperato di poterle avere per tutti loro… per se stesso, per Françoise, per quell’esserino minuscolo…
Non disse niente mentre Françoise tentava di sistemarsi meglio sopra di lui, forse lei gli avrebbe pure suggerito cosa dire…
“Lo so che può sembrarti egoista o sbagliato il fatto che io abbia esitato per qualche giorno…” spiegò, con il poco fiato che aveva in gola “…ma tu riusciresti mai a vivere un sogno se sapessi che ritornare alla realtà poi sarebbe un inferno?”
Joe aggrottò appena le sopracciglia, pensieroso…
“No…” rispose, dopo un po’ “…ma qui non stiamo parlando di un sogno…”
Françoise sussultò, colpevole…
“Hai ragione, Joe… questa… questo, l’abbiamo fatto insieme…” si piegò un po’ verso di lui, aveva gli occhi umidi di lacrime “…volevo dirtelo… ma ogni volta… non è che mi mancassero le parole… solo… quelle che mi venivano in mente non erano mai adatte… forse perché riuscivo a pensare solo che non volevo toglierti qualcosa di tanto bello, senza pensare che tu sei forte e che anche se durerà per poco tempo anche tu devi sapere come ci si sente a pensare a… a lui...”
“Lo so…”
Joe si accorse di saperlo… sapeva come ci si sente a pensare a lui, nonostante i dubbi, pensare solo a lui…sapeva cosa significava avere lo sguardo fisso su un ventre tanto conosciuto, chiudere gli occhi, sperare che andasse tutto bene.
C’era una piccola parte di lui, però, che gli ricordava una cosa consolante e serena: che tutto ciò che aveva a che fare con Françoise, alla fine, non era niente di pericoloso, o se lo era, allora era anche bellissimo, bellissimo e pericoloso… come la prima volta che l’aveva ringraziata, o le aveva chiesto scusa, e come la volta in cui era stato costretto a farle capire che l’amava, o come quella in cui per avere la certezza di essere stato piuttosto chiaro ci aveva pure fatto l’amore… come quando aveva tremato per l’emozione nel metterle l’anello al dito e lei se n’era accorta e l’aveva aiutato…
“Ceniamo?” le chiese, facendola rialzare.
Françoise annuì, un po’ più sollevata… le aveva fatto bene parlarne, lo si vedeva dal suo volto…
E quell’improvviso benessere si piantò solidamente sulle sue labbra quando aprì il frigo e lo trovò pieno di stranezze…
“Joe…” rise, incapace di trattenersi “…che ce ne facciamo di tutta questa roba?”
Joe arrivò in cucina chiedendosi come potesse non essere chiara la ragione di quella riserva…
“È per non uscire tutte le notti per soddisfare le voglie che ti verranno…”
“E ci volevano tre marche diverse di salsa di soia?”
Joe le si avvicinò, guardingo, anche un po’ pensieroso…
“Di più?”
Françoise si dichiarò offesa, lo riprese esclamando un paio di volte il suo nome con enfasi… gli dette anche un pizzicotto sul fianco… lui le bloccò la mano prima che gli lasciasse un livido senza nemmeno accorgersene… l’interno del suo polso era liscio, la pelle finissima… si percepiva il sangue che scorreva veloce… Joe la sentiva sotto le dita, quella vita, eppure sembrava che stesse esplodendo ovunque… bellissima…
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“Fran, è commovente il modo in cui ogni giorno decidi di condividere con me la tua colazione…” Jet addentò il resto del croissant di Françoise con espressione soddisfatta, gli occhi fissi sul barattolo di marmellata al centro del tavolo…
“In realtà…” cominciò Françoise, un po’ incerta “…in realtà c’è qualcosa di più commovente…”
“Hai ragione…” commentò lui soddisfatto, gli occhi brillanti di compiacimento “…questa marmellata di more è…”
“Sono incinta…”
Jet la guardò stravolto, con le labbra sporche di marmellata… in viso aveva un caos meraviglioso che somigliava alla risata di un bambino…
“Ho vinto la scommessa con Bretagna! Lo sapevo io!”
“Idiota…”
“Fatta al vostro matrimonio… io dicevo che nel giro di due anni sarebbe arrivato un erede… lui diceva che vi sareste goduti un po’ la vita, diceva che lui lo avrebbe fatto al vostro posto…”
“Jet…” lo interruppe Françoise, a voce bassa… con la coda dell’occhio vide il barattolo di marmellata rovesciato, poi sentì una stretta fortissima attorno alle spalle: Jet le si era praticamente rovesciato addosso…
“Avevi ragione Fran…” brontolò nei suoi capelli, prima di allontanarsi un po’ imbarazzato “…questo è più commovente…”
Poi continuò: “Guardate che andrà bene sicuramente… non c’è motivo di preoccuparsi… tra qualche mese il pargoletto ci spaccherà i timpani e Joe sarà costretto ad imprecare in un’altra lingua per non dare il cattivo esempio… e poi dirà «Jet» come prima parola e lo riempiremo di regali a Natale… imparerà a camminare in questa stanza e tu Françoise gli racconterai un sacco di storie assurde davanti al caminetto, con lui che fisserà le fiamme e… uh, quando sarà un po’ più grande dovrò condividere questa marmellata paradisiaca con lui, ma sono disposto a farlo… a patto che io sia il suo padrino…”
“Figurati…” sibilò Joe, minaccioso, eppure aveva un sollievo nuovo negli occhi…Françoise lo conosceva bene: era come una specie di libertà, quella che gli donava Jet, la libertà di sperare senza lasciarsi soffocare dalla paura…
“Torno subito… devo fare una scommessa con Bretagna…”
“Jet, datti una calmata ora…” Françoise tentò di acciuffarlo prima che fosse troppo lontano… ma non vi riuscì…
Sapevano tutti e tre cosa significavano le parole di Jet: il bambino vivrà... e sarà in salute… e avrà occhi capaci di osservare tutti sino in fondo all’anima... come Joe… e passerà moltissimo tempo a farvi sentire bene solo guardandovi… come Françoise...

 

Parte 2

Secondo mese
Joe aveva fissato di sottecchi la sua mano per almeno cinquantasette secondi contati – aveva tenuto il conto con molta attenzione –  poi si era deciso ad avvicinarsi un po’ di più.
Aveva afferrato una sedia e l’aveva accostata al lettino su cui lei era distesa, con l’addome scoperto e la mano del dottor Gilmoure che faceva vagare liberamente sulla sua pelle l’apparecchio ecografico… ogni tanto loro due si dicevano qualcosa che lui non capiva fino in fondo, Françoise tendeva la propria mano sul macchinario e imitava il professore per capire bene come si conducevano quegli esami.
A lui non restava altro da fare se non sbuffare…
“Ora sapremo, Françoise…”
Il dottor Gilmoure concentrò l’ecografo sopra un punto preciso del ventre di Françoise.
Joe la osservò con attenzione: si stava mordendo le labbra, aveva stretto il pugno e chiuso gli occhi… allora lui distese appena il braccio sul lettino accanto al viso di Françoise, le sfiorò la spalla con le dita.
Lei non impiegò molto a sentire la sua presenza: si voltò nella sua direzione, poggiando la guancia sul suo avambraccio… alla fine fu lei a stringergli la mano, così forte da togliere il fiato.
Ma non gli importava: erano entrati lì dentro con un peso sul petto e dita sanissime.
Ne sarebbero usciti con ferite nuove sulle dita e occhi luminosissimi…
“Procede tutto bene miei cari…”
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Terzo mese
Era l’alba… Françoise si era alzata presto perché era stata di nuovo colta dalla nausea.
Non accadeva più tanto spesso, ma lei ormai aveva preso l’abitudine di andare a distendersi sul divano dopo essersi allontanata dal letto… non voleva disturbarlo, soprattutto quando Joe aveva missioni impegnative insieme agli altri…
Eppure lui non ci metteva molto ad alzarsi… la raggiungeva in salotto… le dedicava un’occhiata veloce, spesso non diceva nemmeno una parola… si limitava a sedersi sul tappeto davanti al divano, poggiava un libro sul tavolino di cristallo che aveva di fronte e prendeva a leggerlo…
Da tre giorni poi Françoise si era intestardita a fissarsi il ventre con espressione corrucciata… attivava i suoi raggi X e lo studiava… quando era particolarmente presa si sollevava anche la maglietta, per non avere ostacoli di sorta…
“Allora, oggi vedi qualcosa?”
Joe sapeva che la sua nuova mania era dovuta al fatto che lei moriva dalla voglia di conoscere il sesso del bambino.
Françoise aggrottò un po’ le sopracciglia: “Ma è… enorme…”
“Fran?”
Lei si ridestò dal suo personalissimo studio: aveva le labbra piegate un po’ all’insù, lo sguardo presissimo e un’espressione sorniona…
“Gli hai fatto proprio un bel regalo… Joe…”

Quarto mese
Era un maschio…
“Joe…” lo richiamò lei, con voce flebile “…ora possiamo decidere il nome, no?”
Non ne avevano mai parlato…
Lui non ci aveva mai pensato sino ad ora…
“Decidi tu, Françoise… qualsiasi nome per me andrà bene se lo sceglierai tu…”
E lei lo fece… il suo volto si illuminò di un sorriso meraviglioso mentre sussurrava il nome del loro bambino: “Jean…”

Quinto mese
Joe aveva sentito da qualche parte che c’era un periodo della gravidanza in cui la donna si ritrovava particolarmente felice… felice di una felicità strana, comunque… senza motivo apparente.
Perciò decise di non preoccuparsi troppo quando qualcosa di relativamente pesante gli impedì di salire le scale… per salutarlo a fine giornata Françoise gli si era buttata addosso senza dargli nemmeno la tregua di un respiro dentro casa… gli teneva le gambe strette attorno alla vita e le dita piantate con forza nella schiena…
“Françoise…”
Joe si ricordò che aveva programmato un’accoglienza simile circa cinque mesi prima, con lei che non riusciva a contenere l’emozione e che tremava quasi a dirgli che avrebbero avuto un bambino.
Ora lei non aveva nessuna notizia da dargli, in compenso aveva un po’ di pancia in più.
Joe non si era ancora abituato a sentire addosso quella curva più marcata…
“Sono felice” disse lei, guardandolo in viso.
Ed era vero… sembrava che stesse una meraviglia… era una meraviglia…
“Come mai?”
Françoise si lasciò cadere a terra, gli strinse una mano attorno al polso… se lo trascinò al piano di sopra velocemente…
“Finalmente Catherine mi ha accompagnato a comprare la prima tutina…” spiegò, raggiante “…e non è tutto…” aggiunse, aprendo la porta della cameretta che stavano allestendo per Jean “…mi ha portato anche le vecchie tutine di mio fratello!”
Joe si accigliò, chiedendosi se fosse il caso di placarla in qualche modo quando lei si mise praticamente a scalare l’armadio tenendo di mira uno scatolone in alto… si accostò a lei per aiutarla a prendere quella roba terribile… sicuramente erano orribili le tutine da neonato di trent’anni prima…
Eppure non gli importava… aveva scoperto una cosa nuova sull’ammasso di roba terrificante che Françoise nascondeva…
Non rendeva felice solo lei… la illuminava di una felicità contagiosa…

Sesto mese
Françoise era distesa sul divano, le faceva un po’ male la schiena… Joe era seduto a terra davanti a lei, sul tappeto… stava tentando di avere la meglio su uno stereo antiquato.
L’aveva trovato in un vecchio negozietto insieme ad una montagna polverosa di cd che ora aveva sistemato sul tavolino basso davanti a lui.
Françoise gli aveva confidato che avrebbe fatto bene al bambino ascoltare un po’ di musica… erano tutte cose che aveva studiato… la musica serviva a stimolare la sua intelligenza.
Joe all’inizio aveva sbuffato, senza nemmeno crederci troppo… quel giorno poi si era ritirato in soggiorno accanto a lei e aveva iniziato ad imprecare contro lo stereo… come se fosse colpa dell’aggeggio se lui non trovava la canzone che si era intestardito a cercare.
Doveva esserci affezionato, forse era incastrata nei suoi ricordi di bambino…
Quando la trovò rimase per un po’ ad occhi chiusi, con le spalle poggiate contro il divano e la testa abbandonata sul suo grembo…
“Le altre sono tutte una palla…” spiegò.
Françoise scoppiò a ridere, divertita…
“Questa è rilassante…” commentò, dando qualche colpetto sulla testa di Joe per invitarlo ad alzarsi da terra e distendersi accanto a lei.
Gli fece un po’ di spazio, gli prese la mano e se la poggiò sul ventre…
”Lo sai Joe…” riprese “…come noi sentiamo quando lui si muove, lui sente tutto quello che gli succede intorno… perciò lo accarezzo continuamente…”
Quelle di Joe non sembravano sempre carezze, i movimenti della sua mano erano accorti, misurati, ma non sempre lenti… a volte sembrava che quella mano non stesse accarezzando, ma salutando… così per dire «piacere Jean, sono molto lieto di conoscerti…»
“Cos’altro sente?” chiese Joe.
Lei ci pensò un attimo, raccogliendo tutte le informazioni che aveva…
“Ora sente soprattutto il battito del mio cuore… per lui dev’essere quasi assordante, ma non al punto da dargli fastidio… lo rassicura… poi sente le nostre voci e la musica…”
“E allora perché ti lamenti che non dorme mai?” gli fece presente lui… evidentemente rabbrividiva al pensiero del casino che doveva sentire suo figlio a tutte le ore del giorno.
Françoise ne sorrise…
“Se si abitua adesso ad ascoltare alcune cose, per lui la… scoperta del mondo può essere meno traumatica… quando sarà nato e sentirà le stesse voci, la stessa musica… queste cose gli sembreranno un po’ più familiari, meno estranee e terrificanti…”
Joe si disse che per quanto familiari forse alcune cose restavano comunque terrificanti.
Allora si chiese se non fosse pazzo e giusto così… rassegnarsi a condividere le paure di un bambino e aspettare di placarle contro la sua pelle, come Jean avrebbe fatto con lui tutte le notti, di lì a pochi mesi, dopo avergli spaccato i timpani e rovinato il sonno…

Settimo mese
“Non è colpa mia se non riesco a dormire…” sbuffò Françoise, riempiendosi una tazza con una sostanza dal colore poco invitante “…ogni volta che tento di girarmi è come se dovessi fare il giro del mondo, mi sembra di metterci ore…”
“Non ti posso far svenire e risolviamo tutto?”
Joe guardò disgustato quella roba che lei stava trangugiando senza pensarci troppo… non riusciva nemmeno a immaginare gli ingredienti improbabili che ci aveva messo dentro per calmarsi un po’.
Françoise lo guardò male e lui pensò di essere stato frainteso: “Guarda che non ti lascerei sul divano, ti porterei a letto…” promise, quasi ragionevole… per quanto potesse sembrarlo con gli occhi impastati di sonno, cioè “…o forse farei prima a portare il letto giù…” considerò, fissando la pancia di Françoise e provando pietà per le sue povere braccia… probabilmente sarebbe perito nel tentativo di sollevarla.
Lo sguardo di Françoise si fece ancora più sottile, aveva un qualcosa di minaccioso…
“Joe…” cominciò, melliflua “…pensavo che avessi superato il periodo in cui non riuscivi a dirmi certe cose…”
Joe sobbalzò, ma ebbe lo spirito di non darlo a vedere…
“È così infatti…” precisò a denti stretti “…e poi ora non devo dirti proprio niente… vorrei solo tornarmene a letto…”
“Ma se mi dici qualcosa di carino potrei considerare l’idea di… svenire…” dichiarò Françoise… forse anche lei era particolarmente disgustata dalla tisana che aveva versato nella tazza.
Joe fece l’ultimo sbadiglio, strofinandosi gli occhi per assicurarsi di essere ben sveglio… le pose due dita sulla noce del collo, come se avesse voluto prendere la mira per un colpo ben misurato.
Lei lo guardò con occhi pieni di aspettativa e trattenne il fiato quando Joe le sfiorò il viso con un tocco leggerissimo…
“Françoise, tu non dormi perché non sei davvero stanca…”
Lei spalancò la bocca pronta a protestare: era davvero stanca e non si sarebbe lasciata colpire senza ricevere una meritata dichiarazione compromettente… Joe sapeva che lei gli avrebbe risposto esattamente così, perciò quando si mosse veloce per sfuggirgli, Joe non la lasciò allontanare troppo, tappandole la bocca prima che cominciasse con qualche rappresaglia.
Mentre la baciava, sperò solo che dopo averla stancata a dovere Françoise sarebbe stata almeno capace di tenersi in piedi… non era sicuro di riuscire davvero a portare il letto giù per le scale dopo aver finito con lei…

 

Parte 3

Ottavo mese
L’acqua della vasca era bollente e lui la odiava… Françoise l’aveva imparato da anni.
Perciò trovò quanto meno curioso che lui non avesse minimamente accennato una rappresaglia o una lamentela quando si era premurata di trascinarselo nella vasca senza troppi complimenti… anzi, Joe si era anche attardato ad affondare le dita nella schiuma che le era rimasta incollata sulla pelle… era pensieroso, un po’ intento e concentrato su qualche pensiero che conosceva solo lui… più o meno…
“Ti prego…” mugolò Françoise “…non dirmi che stai di nuovo pensando a quale sport si dedicherà il bambino!”
Joe la guardò un po’ colpevole, ma non ci mise molto a recuperare un’esemplare faccia di bronzo…
“È colpa di Jet…” spiegò, togliendo la mano dal suo ventre.”…è lui che non la smette di fare pronostici…”
“Non si possono fare previsioni del genere…” replicò lei, ragionevolmente “…Jean non è ancora nato… è ancora troppo piccolo per queste cose…”
“Ma se insieme pesate tre tonnellate!”
Lo sguardo accigliato di Joe acquisì proporzioni epiche quando gli arrivò uno schizzo d’acqua dritto in faccia… la guardò minaccioso, esibendo l’autocontrollo necessario a poggiare la schiena contro la spalliera della vasca piuttosto che cedere all’istinto di affogarla…
Françoise si rilassò un po’, socchiudendo gli occhi… le piaceva fare il bagno con lui.
All’inizio era stato un desiderio stupido, quasi volatile come l’acqua bollente che saliva in spirali di fumo fuori dalla vasca… le piaceva l’idea che per qualche ora entrambi avessero lo stesso profumo, anche se poi lei si riempiva la pelle di creme e lui la mattina dopo si passava un po’ di dopobarba in viso.
Solo dopo un po’ aveva capito cosa le piaceva di più delle sere passate insieme nella vasca: aveva capito che forse si distrugge la solitudine solo imparando a fare insieme qualcosa che sin da piccoli ci si abitua a fare per conto proprio… era un po’ diverso dal dormire nello stesso letto e scoprire di avere bisogno di coperte più leggere perché in due tra le lenzuola si sta più caldi… era altrettanto bello, però bello di una bellezza diversa.
Nella vasca ci si stava abbastanza stretti, a Françoise era sembrato anche strano all’inizio guardarlo negli occhi un po’ lucidi, con i capelli gocciolanti, sapendosi nudi con le gambe intrecciate, le ginocchia a pelo d’acqua e le caviglie strette intorno alla vita di lui… negli occhi avevano il disagio di chi è stato abbracciato dalla solitudine e non sa bene come sciogliersi da quella stretta soffocante… lui era stato solo per anni, lei si era sentita sola per un periodo che le era sembrato infinito… c’era qualcosa di esasperante nella solitudine e qualcosa di meraviglioso nella soluzione che avevano trovato a quella stessa solitudine… una sera Françoise gliene aveva parlato ad alta voce… forse non si è più soli quando un giorno ci si rende conto che qualsiasi cosa, la più insulsa, la più inutile, la più fastidiosa, la più intima, la si può fare insieme a qualcun altro, magari per capriccio, magari una volta o due… e non era questione di negarsi ogni momento libero o privato… quello che faceva bene era avere la possibilità di scegliere se essere da soli o in compagnia… non era importante stare sempre insieme o per troppo tempo… l’importante era che per trascinarselo nella vasca le bastava lasciargli scegliere i sali da bagno, o lasciargli regolare la luce, e promettergli che avrebbero preparato la sua cena preferita… anche se lui sapeva che la cena era già pronta nel forno e lo aspettava dopo un quarto d’ora o due passati a scottarsi la pelle in acqua troppo bollente, perché a Françoise così piaceva.
E – Françoise ci aveva messo un po’ a capirlo – lui aveva accettato tutte le cose che le piacevano, anche se non per questo era diventato meno sincero in quella maniera brutale che a volte faceva male e altre volte faceva pensare che se esisteva qualcosa di divino, allora quel qualcosa aveva la sincerità di Joe…
“Io lo vedo…” soffiò lei, come se ci fosse stato bisogno di ricordarglielo… quegli occhi a volte erano stati una maledizione, o un peso, ma sempre qualcosa di prezioso… e lei forse li adorava anche un po’ di più da quando gli permettevano di dare un’occhiata al figlio in anteprima “… e non mi sembra un nano di tre tonnellate!”
“Mh… non lo so…”
Joe allungò la mano verso di lei, posandogliela sul fianco senza muovere troppa acqua… la sollevò un po’, e a Françoise parve di galleggiare su una nuvola, come poco prima quando sotto la schiena invece dell’acqua c’erano i cuscini e davanti a lei c’era Joe e avevano fatto l’amore con più accortezza del solito.
Ora c’era sempre Joe, ma aveva uno sguardo che non accennava a ritirarsi, quasi ombroso… fissava la pancia gigante che emergeva dall’acqua…
“Così sembra una boa…”
Françoise fece finta di niente, tentando di prendere nel giusto verso l’osservazione…
“Ma se non ha nemmeno la forma di una boa!”
“Non per la forma…” precisò lui, con tono fermo…
“E per cosa?”
Joe esitò un attimo, sbuffò ritornandosene al suo posto lentamente…
“Per tutto il resto…”
Per la funzione forse, si immaginò Françoise… perché l’aveva sempre saputo che Jean sarebbe riuscito a salvarlo… a salvare lo spirito di suo padre, a donargli nuovamente la voglia di vivere e la speranza di un futuro anche per un cyborg… e forse a chiunque sarebbe sembrato un po’ strano, perché ci si abitua all’idea che siano i padri a dover salvare i figli… sempre.
Ma lei pian piano, dopo tutte le battaglie affrontate, si era convinta che quando si tenta di salvare qualcuno, quando si tenta con tutto il cuore, allora finisce che si viene anche salvati… salvare e lasciarsi salvare erano la stessa cosa… anche se a farlo era un esserino minuscolo…
“Secondo il dottor Gilmoure comunque non pesa più di tre chili e mezzo…”
Joe annuì, concorde…
“Il resto delle tre tonnellate infatti è tutto spalmato addosso a te…”
Però le bastò minacciarlo di rovesciargli addosso tre tonnellate di grasso per farlo ritrattare… Joe si sentì tanto magnanimo da scendere a tre quintali.
Tuttavia la sua benevolenza ben presto divenne cruccio delicatissimo, perché pochi istanti dopo i tre quintali di rotondità gli arrivarono velocemente tra le braccia, senza risparmiare una costola per premura…

Benvenuto Jean
Joe aveva il polsino della maglia tutto sgualcito ed una nocca o due della mano destra pulsavano doloranti – forse era la volta buona che si era rotto qualche osso –.
C’era il futuro dietro quella porta e a lui veniva quasi voglia di bussare «con permesso» per dare una sbirciatina e capire se sarebbe stato all’altezza di quel posto… Joe però sapeva che non era possibile lasciarsi frenare dalle ginocchia molli, dalla paura di rovinare tutto, perché c’era qualcosa di più spaventoso e ingiusto: ed era il solo pensiero di perdersi un altro secondo di vita di suo figlio.
La prima cosa che vide quando entrò nella stanza furono gli occhi di Françoise… forse lei aveva sollevato lo sguardo perché lo aveva visto… perché lo aveva sentito indugiare per un istante fuori dalla porta, forse lei faceva sul serio quando si chiedeva distrattamente se non fosse nata per aspettarlo… e ogni volta che lo faceva gli sembrava che fosse stata tremendamente forte, perché forse non c’era niente di più coraggioso di una donna capace di aspettare all’infinito fin quando lui non avesse fatto il primo passo verso di lei…
Joe avanzò guardandola… c’era un’emozione strana, forse guardarsi negli occhi fu un po’ come tenersi per mano, ma senza stringersi le dita – perché tanto erano occupate – era come tenersi per mano ma senza farsi vedere, segretamente, infinitamente.
Quando smise di nascondersi nello sguardo di lei a Joe mancò un po’ il fiato… forse Jean aveva consumato tutta l’aria nella stanza, e lui non aveva fatto in tempo a spiegargli che c’era qualcosa di più bello da respirare, e si chiamava felicità, e si nascondeva nei posti più impensabili, come le braccia di una donna che da ragazzina timida sarebbe diventata presto una mamma così premurosa da diventare insopportabile…
Jean era un cosetto che per giustizia aveva deciso di nascere prima di pesare seriamente tre tonnellate, aveva la pelle raggrinzita e pochi capelli spettinati…
“Pesa tre chili e seicento, è alto cinquanta centimetri, ha pianto come un disperato quando lo hanno lavato ed io non sapevo se ridere o piangere con lui, perché… dio, Joe, è strano sapere che le lacrime gli hanno fatto bene, che sono buon segno, che lui esplode di vita perché sa piangere forte…”
A Françoise tremava un po’ la voce…
“Forse fa bene anche a me… piangere, dico…”
Joe annuì brevemente, per farle intuire che a lui stava bene se lei aveva voglia di piangere… non c’era assolutamente niente di male…
“Ma se piango mi si appanna la vista e vorrei tentare di ricordarlo anche io questo momento…” continuò Françoise.
Lui sorrise, poggiando un ginocchio sul letto per accovacciarsi vicino a lei e a Jean…
Jean aveva il visetto abbandonato contro il seno di sua madre, le dita strette in quello che sembrava un pugno o forse una fragola, per quanto era piccolo… e poi aveva gli occhi chiusi… Joe lo osservò mentre sonnecchiava, meravigliosamente calmo…
“Non si guarda intorno?” chiese, curioso, indagandogli il viso…
Françoise lo osservò con espressione ammorbidita…
“Ha gli occhi scuri, Joe… e sta dormendo…”
A lui invece sembrava di aver passato una vita a dormire per svegliarsi solo in quel momento…
“Che figlio pigrone…” biascicò sorridendo, portando il viso vicino al suo…
Guardarlo da vicino non lo aiutò a capire meglio il piccolo mistero che lo rendeva tanto interessante… restò così per un po’ di tempo, senza sapere bene cosa fare, sperando che Françoise non stesse progettando di mollarglielo tra le braccia a tradimento.
Non lo fece… gli passò lentamente una mano tra i capelli e lo invitò a poggiare il viso sul suo seno, accanto a quello di Jean.
Joe era talmente vicino da sfiorargli la pelle con le labbra: la guancia era già paffutella…
Gli parve di metterci un paio d’ore per allungare le mani verso suo figlio… sperò di non farle cedere proprio nel momento di prenderlo in braccio… il dolore alle nocche sembrava sparito chissà dove, ma c’era qualcos’altro… toccare Jean era sentire tutta la vita che nascondeva sotto la pelle arrossata… era sentirla sotto le dita, e sentirla esplodere… meravigliosa...

I pugnetti di Jean
Joe lo teneva tra le braccia come se fosse stato un generatore di vita… era seduto vicino al letto d’ospedale in cui riposava Françoise.
“Sta dormendo?” Jet li scrutava con aria circospetta…
“Ma se ha gli occhi aperti…”
“Intendevo Françoise” precisò, avvicinandosi.
Joe annuì, lanciando ancora uno sguardo al letto… Françoise sembrava assopita, aveva un’aria stanca ma serena…
Poi passarono a fissare Jean, senza degnarsi di assumere espressioni meno insistenti…
Il piccolo li scrutava senza vederli, girando il viso di qua e di là come mosso da una forza invisibile.
Jet stava sorridendo mentre allungava le braccia verso di lui…
“Dai, passamelo…”
Joe guardò Jean, stretto tra le sue braccia… guardò Jet, che fremeva per l’attesa… pensò che quel gesto sarebbe stato ancora più intimo, terribile e meraviglioso di tutte le battaglie che avevano combattuto insieme... gli stava concedendo il mondo intero…
E – strano da credere – ma Jet sapeva tenerlo bene, il mondo tra le braccia…
Sollevò Jean più in alto del suo viso, scrutandolo con interesse, ma anche un po’ perso…
“Pensa che bello quando farà a pugni per la prima volta con mio figlio…”
Che idiota!, Joe sbuffò, glielo diceva così che aspettava un figlio anche lui?...

 

Parte 4

Più saggio del padre
“Françoise dorme, non puoi urlarmi contro, Joe...”
“L’ho capito che Françoise dorme…” biascicò lui a denti stretti, in un tono che poco si conciliava con il cinguettio di Catherine... eppure Joe trovava piacevole quasi in maniera sinistra l’idea di tenerla lontana da suo figlio sfondandole un timpano…
“E non puoi neanche mandarmi via, perché in quel caso urlerei io…”
Joe si sentì prossimo a gemere di frustrazione… tentò di ricordarsi con precisione perché mai fosse assolutamente sconveniente sacrificare il sonno di Françoise per una buona causa come privare la sua migliore amica di un arto a caso, magari proprio quello con cui teneva Jean stretto al petto – solo a lui sembrava pericolosamente in bilico? –
Joe chiuse gli occhi, scorgendo dietro le palpebre un sorriso spontaneo… ci trovò Françoise nel buio quieto dei suoi occhi, sembrava che avesse il sole sul volto per quanto era felice mentre gli diceva che il modo migliore per assicurarsi di essere sempre felici era svegliarsi con calma, con una carezza, magari due, con una voce soffice che dice «buongiorno» come a voler dire «lo vedi che ti amo anche oggi?»... bastava essere felici per cinque minuti al mattino, cinque minuti di quiete, di passione calma, e la giornata sarebbe trascorsa più facilmente… poi Françoise gli aveva promesso che per lui sarebbe stato sempre così, ogni giorno…
Spostò uno sguardo ansioso su Catherine in cerca di un’idea per farla tacere e solo in quel momento si accorse che qualcuno aveva agito prima di lui… Catherine era silenziosa, immobile, vicino a Philippe, che aveva nascosto un po’ il viso tra i suoi capelli… la bocca un po’ aperta, come alla ricerca d’aria.
Joe trovò che suo figlio fosse in qualche modo più saggio di lui… aveva risolto tutto da solo con quegli occhi grandi e scuri... aveva risolto tutto da solo… togliendole il fiato…

Bienvenue
“Françoise… sta dormendo…”
Lei gli fece segno di tacere, senza degnarlo di uno sguardo…
“Ed io sto tentando di insegnargli la lingua…” replicò, compunta, riportando l’attenzione sul figlio che gli aveva tolto dalle braccia “…come ti dicevo Jean, quando rientri a casa devi dire Je suis a là maison…
“Giusto, e ricordagli di non inciampare nel cordone ombelicale…” precisò Joe, sorridendo e cacciando le mani in tasca per cercare le chiavi di casa… si era messa in testa di insegnare il francese ad un pupetto di  appena tre giorni.
Françoise ne sorrise lievemente, divertita, mentre lo guardava armeggiare con la porta di casa… si intrufolò dentro scostando la copertina dal visetto di Jean mentre Joe si liberava delle scarpe e proseguiva per la cucina…
“Visto? Devi toglierti le scarpe all’ingresso, le posi qui, Jean…” continuò, sistematica, tentando di scalciare via i suoi sandali senza molto successo “…se sono in casa io ti sento, magari ti raggiungo all’ingresso… se non sono troppo stressata ti sorrido, ti dico in ogni caso bienvenue  tesoro… bentornato…”
Françoise si lasciò scivolare lungo la parete, sopra un gradino… non poteva muoversi troppo per evitare di svegliare Jean, ma i sandali comunque non si toglievano… gettò uno sguardo a Joe che la scrutava con la spalla poggiata contro lo stipite della porta…
“Se invece c’è papà a casa…” continuò a spiegare lei, “…non ti dirà bienvenue… è probabile che non ti dirà proprio niente, visto che non conosce ancora molto bene il francese, nonostante abbia tentato di insegnargli qualcosa per anni…”
“Françoise…”
A quell’ammonizione un po’ lieve e un po’ minacciosa, lei gli fece segno di avvicinarsi…
Joe azzardò qualche passo verso di loro con attenzione, gli occhi puntati sul viso sereno di Jean… dovette rinunciare a prenderlo in braccio quando si accorse che per qualche fortunata congiunzione astrale il piccolo stava ancora dormendo.
Si attardò qualche istante a indagargli la linea degli occhi, come se tra quelle ciglia ci fosse un tesoro… poi si inginocchiò davanti a loro e prese ad armeggiare con la cinghia dei sandali di Françoise con dita leggere…
Lei ne sorrise, senza nemmeno rendersene conto…
“Ti dicevo Jean, il papà ha questo problema con le lingue straniere, gli sono un po’ estranee, anche quelle più facili... ma non fa niente...”
“Ma smettila…”
“Non fa niente Jean, sai perché?...” continuò lei, finalmente a piedi nudi… “nel giro di qualche minuto farà qualcosa di tanto bello che tu ti sarai completamente dimenticato di tutto il resto…”
“Sì però Jean ricordati di tornare a stomaco pieno perché qui ci si dimentica ogni volta dell’ora di cena…”
“Non mi dimentico…” precisò Françoise, punta nel bel mezzo di un discorso che le sembrava molto toccante “…mi attardo fin quando…”
“… fin quando non ci penso io, sì…”
Françoise scoppiò a ridere… non intendeva dire quello… beh, forse un pochino…
Depose Jean nella culla che Joe aveva portato in cucina… poi si avviò verso la credenza, senza alcuna ragione per attardarsi oltre nel preparare la cena…

Lo spazio nei suoi occhi
Sul divano si stava abbastanza comodi… a volte le arrivava in volto il calore delle fiamme che crepitavano nel caminetto… altre volte davanti a lei c’erano soltanto le spalle di Joe… si era seduto sul tavolino basso posto di fronte e guardava assorto il piccolo Jean che si faceva allattare impaziente e un po’ agitato… Joe aveva un modo strano di fissarlo: come se appena un istante prima avesse scalciato il mondo fuori dalla porta, come se nei suoi occhi ci fosse spazio solo per lui.
Françoise ne sorrise, abbassando il viso per indugiare sulla stessa meraviglia che rapiva tanto suo marito… Jean aveva una bocca piccola e lei ci aveva messo un po’ per abituarsi alla morbidezza delle sue labbra sul seno… le sembrava che le chiedessero ancora più vita di quelle di Joe e lei non era sempre sicura di averla… non le era ben chiaro il modo in cui qualcuno era davvero in grado di vivere sul suo seno, beatamente, come se non ci fosse niente di più bello al mondo.
Françoise sussultò, scostando il viso di Jean… controllò che non le avesse fatto troppo male anche se aveva morso forte… tirò un respiro profondo prima di riavvicinarsi alla sua boccuccia e nello stesso momento sentì una mano leggera sulla fronte che le scostava una ciocca di capelli fuori posto… Joe si era mosso con una naturalezza che non apparteneva a lui, ma solo ai momenti in cui c’erano entrambi… poi riconsegnò l’indice ai pugnetti di Jean, che quella sera si era scoperto incapace di starsene fermo…
“Grazie…” mormorò lei…
Joe si ricordò delle raccomandazioni di Catherine… gli aveva ripetuto come una macchinetta che quando nasce un bambino le cose si fanno complicate – come se lei lo sapesse, poi –, «Quando nasce un bambino sono tutti concentrati su di lui, dimenticandosi della mamma… perciò  Joe, non ti azzardare a dimenticarti di lei e a farla diventare isterica, perché io poi non la sopporto…»
Quello che Catherine non sapeva era che Joe non si dimenticava mai niente…
Non si dimenticava mai niente… e non si sarebbe  certo dimenticato di lei…
“Puoi…” la domanda morì in gola a Françoise per un altro attacco di Jean che evidentemente aveva voglia di mangiare latte e capelli… lei indicò l’elastico sul tavolino basso, scuotendo un po’ la testa per liberare una ciocca dalla bocca del figlio.
Joe picchiettò la guancia di Jean senza sapere bene cosa fare e quando lo vide deciso a rinunciare al contorno di capelli, si affrettò ad agire.
Françoise sollevò il viso a guardarlo mentre lui finiva di raccoglierle tutti i capelli in una coda… attese che tornasse al suo posto con lo stesso sguardo di prima e le venne quasi da ridere al pensiero di averne fatto un’analisi imprecisa.
Nei suoi occhi c’era spazio anche per lei… c’era spazio per lei e Jean…
Anzi, forse in due si stava ancora più comodi…

Salvarsi
Françoise sapeva bene cosa aspettarsi in quei giorni particolari… non accadeva molto spesso, ma a volte non poteva fare a meno di attardarsi in ospedale con il dottor Gilmoure anche nel primo pomeriggio… Joe era capace di trasformare quelle circostanze in tragedie che al primo lamento di Jean assumevano la portata di una vera e propria fine delmondo.
Infatti ci teneva a precisare che se Jean aveva tanto fiato in corpo per urlare allora poteva anche cantarsi la ninna-nanna da solo, perché lui non aveva la minima intenzione di farlo.
E che se nell’atto riusciva anche a cullarsi per conto suo era tanto meglio, doveva pur imparare a camminare un giorno o l’altro.
Françoise ogni tanto, a sentirlo, dimenticava anche di scuotere la testa… c’erano dei momenti in cui Joe era più divertente che esasperante… ed in genere quei momenti culminavano con visioni particolari: per esempio Françoise rientrando a casa lo trovava disteso sul divano con Jean piegato su di lui, con le gambe che non riuscivano a circondargli nemmeno metà busto… ed era vero, Joe quasi non ci pensava a cullarlo per farlo addormentare… però lo fissava, come se avesse capito quanto fosse riposante nascondersi nei suoi occhi… come se riuscisse a trovare la quiete negli occhi del figlio… poi gli stringeva le mani attorno alle braccia piccole e morbide, se le poggiava sul petto e lo aiutava a tenersi un po’ su… e lo sapevano entrambi che, se l’avesse lasciato, Jean gli sarebbe crollato sul petto – così si stanca e dorme per sfinimento, ponderava Joe – ma forse il vero mistero di quel momento era nascosto tra le dita minuscole che si posavano sul suo cuore… era qualcosa di inconfessato, forse quasi remoto… era uno dei tanti modi di salvarsi.
Françoise ne sorrideva, compiaciuta… lo aveva immaginato che Jean sarebbe riuscito a salvare un altro angolo di cuore del padre, perché era così, semplicemente, Joe ce l’aveva scritto in faccia che ne aveva bisogno… aveva bisogno di credere che essere padre ed essere figlio fossero esperienze meravigliose… lui non aveva avuto il tempo di realizzare quel sogno, ma solo di rincorrerlo...
Così Jean lo salvava… non gli regalava il suo sogno di bambino, non glielo faceva sembrare migliore di quanto avesse sperato… semplicemente, Jean faceva in modo che la realtà ed il sogno fossero la stessa cosa.
Françoise li osservò dormire vicini… evidentemente Joe nel tentativo di sfinire il figlio era rimasto distrutto lui per primo… aveva sistemato un cuscino dall’altra parte del letto, aveva posato un braccio vicino alla testiera dello stesso, e tra sé e quel piccolo rifugio ci aveva lasciato Jean, che dormiva soave.
Françoise si rammaricò di dover fare ancora qualche passo perché sapeva che lui si sarebbe svegliato… e infatti non passarono molti istanti prima che sentisse lo sguardo di Joe su di sé… lo vide un po’ lucido, pieno di sonno… e calmo… c’era più salvezza di prima nel fondo dei suoi occhi…
“Vedo che stai bene, Joe…” sorrise, piegandosi un po’ sul letto…
Lui assottigliò lo sguardo: “Mi ha fatto passare l’inferno…”
Ed era una bella novità, sapere che ci si salva anche nel bel mezzo dell’inferno…

 

Parte 5

Promesse
“Lo giuro!” aveva detto Jet, con voce tremante, con tono solenne…
Davanti a tutti i loro amici, i loro affetti, aveva giurato che si sarebbe preso per sempre cura di Jean e che avrebbe condiviso ogni giorno con lui la sua marmellata preferita.
Era stata una bella cerimonia e tutti in Jet già vedevano il padrino migliore del mondo…
“Ma come fai a non essere stanco?” si lamentò Joe, scrutando torvamente suo figlio…
Aveva anche tentato di farlo reggere da solo sul suo petto, come faceva sempre, per privarlo delle ultime energie prima di farlo addormentare… tuttavia Jean era vigile e si era anche messo in testa di giocare con la collanina di Jet che quest’ultimo gli aveva messo al collo…
“Magari vuole un regalo anche da te, Joe…” considerò Françoise, in tono allegro…
“Oltre alla festa?” indagò lui, sornione, dalla sua postazione sul divano…
Lei sorrise… stava accarezzando quel pensiero da molto tempo… si avvicinò a loro due, inginocchiandosi dietro al bracciolo su cui Joe aveva posato la testa…
“Stavo pensando…” cominciò, premurandosi di non notare lo sconforto comparso sul viso di Joe alla sola premessa “…ci sono dei regali che non vanno ricordati, solo… sentiti?”
“Me lo stai chiedendo?”
“Non lo so…” ammise, chiudendo gli occhi per non lasciarsi sopraffare dai ricordi “…è da quando avevo 19 anni che mi faccio sempre la stessa domanda… e ancora non trovo una risposta diversa da quella che trovai il giorno che… lo sai…”
“Vuol dire che è quella giusta per te…” rispose Joe, dopo un istante in cui si era lasciato rapire dal passato… o forse era diventato abbastanza forte da lasciarsi solo abbracciare…
“E per te?”
Françoise sentì su di sé il suo sguardo rapido, scurissimo, profondo… lo vide annuire con calma…
“Gli regaliamo una promessa allora?”
Lui annuì alla sua richiesta e lei allora sfiorò la fronte del bambino con dita leggere, prese la mano destra del padre e gliela posò sul piccolo petto, mentre Jean li guardava incuriosito.
Françoise lo osservò attenta, un po’ dubbiosa… fin da quando era piccola si era chiesta quale fosse il regalo più bello da fare ad una persona amata… le erano venute in mente varie risposte… per un momento aveva pensato di promettere protezione eterna, a costo della vita, poi si era resa conto che forse non avrebbe fatto la differenza, che proteggere una persona forse bastava a farla sopravvivere, ma doveva esserci necessariamente dell’altro.
E Jean aveva tutta quella vita negli occhi e nella bocca che usava più per ridere che per biascicare sillabe storte… a guardare Jean si vedeva tutta la vita che gli esplodeva sotto la pelle… bellissima… quindi forse era già pronto ad accogliere quella promessa…
“Jean, il tuo papà e la tua mamma vogliono farti un regalo… impegnativo… non esistono regali più impegnativi delle promesse, perché valgono per tutta la vita… noi ci impegneremo a rinnovarla ogni giorno questa promessa… e ci impegneremo anche ad insegnarti a meritare questo regalo, d’accordo? Non lo so se c’è qualcosa di meglio, anche questo potrebbe non bastare…”
“Françoise...”
È tutto abbastanza… è abbastanza per una vita intera…
“Ci impegneremo a renderti sempre felice, ogni giorno… e quando soffrirai noi soffriremo insieme a te…”
Françoise scattò in piedi e si allontanò un po’ senza guardarsi alle spalle… se si fosse impegnata non le sarebbe calata neanche una lacrima, pensava di poterci riuscire… si concentrò al punto che a stento riuscì a distinguere le parole ovattate di Joe: “Dovrai fartelo bastare Jean… solo ad un completo idiota non basterebbe…”
Françoise sussultò, voltandosi di nuovo verso di loro… Joe aveva l’espressione seria e concentrata mentre Jean rideva, divertito dal modo in cui aveva imparato a strofinare la fronte su quella del padre…
  
Verso di lui
Jean stava crescendo vivacissimo, sembrava impaziente di andarsene in giro per il mondo tutto solo… a Françoise non dispiaceva seguirlo passo passo nell’attesa di vederlo in equilibrio sulle proprie gambe.
La prima volta che Jean riuscì a camminare da solo, Françoise pensò che forse avrebbe dovuto capirlo un po’ prima… bastava posare le mani sotto le sue, senza toccarle, magari solo sfiorandole per dargli sicurezza… bastava stargli alle spalle… bastava far accovacciare Joe dall’altra parte del tappeto e Jean pur di raggiungerlo velocissimo avrebbe imparato persino a volare.
Ed il modo in cui Jean si fece cadere tra le braccia del padre sembrava la cosa più simile al volo di un angelo…

Il vento dentro
“Dai Fran, vedi che non è interessato?” sghignazzò Jet, soffocando le risate…
“Come fa papà ad avere il vento in bocca?”
Françoise lo fissò corrucciata mentre tentava di raccontargli una fiaba…
“Non vuoi sapere come va a finire con la farfalla?”
“Sicuramente bene…” commentò Jean, poco interessato…
“Io l’avevo detto!...” ci tenne a precisare Jet, al massimo dell’ilarità “…l’avevo detto che a due anni sarebbe stato più interessato all’acceleratore del padre che alle tue storie…”
“Cos’è l’acceleratore?...” domandò Jean, con genuina curiosità “…serve a fare il vento?”
“Esatto!” replicò Jet, tutto preso nella parte…
“E tu sai come si fa?”
“Jet!” lo rimproverò Françoise, quando lo vide sul punto di proclamarsi il maestro di un bambino che si era messo in testa di saltare qualche tappa.
Jet si sgonfiò e Jean non perse tempo ad accusarlo di non avere il vento in bocca…
“Jean, il vento non è in bocca…” intervenne Joe, in tono vago… fino a quel momento si era limitato ad osservare la scenetta…
“E dov’è?”
Françoise ne approfittò per incastrare entrambi con la risposta: “Se vai a letto con papà lui te lo dice…”

Bugie
“Jean, devi tossire meglio…”
“Ma ho tossito meglio!” si difese il bambino, orgogliosamente…
“Sì, ma Joe ieri non ti ha creduto… è possibile che a tre anni ancora non sai fingerti malato?” Jet lo guardò con una luce divertita negli occhi…
“Ieri quando ho fatto finta di avere tanta fame tu mi hai dato più marmellata…” obiettò Jean, compiaciuto… quando l’aveva raccontato a suo padre lui gli aveva dato il permesso di chiamare Jet imbécile almeno una volta… così poteva dare la colpa a sua moglie per avergli insegnato quella parola…
Jean non si era fatto sfuggire l’occasione, naturalmente… tuttavia il suo momento di soddisfazione era durato poco perché Jet aveva deciso di fargli pensare di poter prendere in giro anche il padre… così lo aveva fatto esercitare a tossire a comando, fin quando Joe – preso dall’esasperazione – non avrebbe accettato di portarlo in vacanza al mare…
Jet non fece in tempo a fargli segno di cominciare con i colpi di tosse che un pugno gli si abbatté al centro del naso…
“La smetti di insegnargli a dire bugie?...” si lamentò Joe “…Jean, volevi fingere di stare male?”
Il bambino lo guardò con aria colpevole, occhi fuggenti… era palese il suo tentativo di mantenere un’aria angelica nonostante il senso di colpa…
“No, papà…”
“Bene…” approvò Joe, decidendo di non fargli notare almeno per una volta che era un pessimo bugiardo “…allora puoi chiamare Jet imbécile tutte le volte che vuoi…”
Jean si illuminò in viso, smettendo una volta per tutte l’aria da angelo…
Il sorriso luciferino sulle sue labbra stava decisamente meglio…

 

Parte 6

Il cuore del mondo
L’acqua si avventava sulla scogliera in maniera tanto violenta da sembrare l’estensione degli artigli di un mostro… assorbiva gli ultimi raggi del sole, si tingeva  di riflessi aranciati e ricordi dalle sfumature più oscure.
Joe deglutì a fatica osservando il mare di fronte a sé… da qualche parte, laggiù nel profondo, c’erano finite anche le sue lacrime e le ceneri di sua madre, molto tempo prima.
Il sole basso gli feriva gli occhi ed altre ferite erano troppo intime e remote per capire chi gliele avesse inferte…
“Papà!”
Jean rotolava velocemente verso di lui senza nemmeno pensare che poco lontano dai suoi piedi ci fosse il nulla… Joe allungò un braccio per non farlo sporgere oltre ed evitare che capisse quanto fossero in alto… continuò a dargli le spalle, e in un istante si ritrovò le braccia minuscole di Jean strette al collo…
“Papà…” ripeté il bambino, quasi gravemente… aveva le mani sudate, sulla pelle e nella voce il segno che non riusciva a nascondere bene il timore…
Fino a qualche giorno prima Jean era stato una vera lagna, persuaso da Jet che avevano tutti bisogno di una vacanza al sole... lo sapevano tutti che a solo un giorno di distanza c’era quella scogliera e c’era quel mare… profondo, infinito, eterno, come l’amore di una madre..Joe non voleva tornarci e non voleva nemmeno spiegarsi… Françoise aveva raccontato al bambino che in quel mare batteva il cuore del mondo… Jean non aveva capito ma non era una novità… facevano sempre quel gioco: uno di loro gli diceva qualcosa di strano, lui si impegnava a capire e quando chiedeva lumi loro si impegnavano a farlo sentire abbastanza intelligente da ricevere una spiegazione completa.
Quella volta però aveva fatto tutto Françoise… c’era qualcosa nel comportamento del bambino che faceva capire la misura in cui aveva intuito cos’era successo in quel posto tanti anni prima.
C’era la morte, ma anche un amore che sopravvive a tutto…
“Ha detto mamma…” cominciò Jean, stringendo sempre più forte le mani intorno al collo del padre “…ha detto che in quest’acqua batte il cuore del mondo e quindi se il mare è agitato vuol dire che il cuore batte forte…”
Batte il cuore del mondo… del tuo mondo, Joe…
Per quanto tempo è stato anche il tuo mondo madre mia? Forse troppo poco…
“Ti ha detto anche…” iniziò Joe, senza sapere bene quali fossero le parole adatte per un bambino…
“Mi ha raccontato che qui hai detto addio alla tua mamma…” quella madre che lui non aveva mai conosciuto… all’orfanotrofio dove era cresciuto gli avevano sempre raccontato che, dopo la sua morte, le sue ceneri erano state sparse in quelle acque tormentate…
“Sì…” confermò, muovendosi un po’ quando sentì le mani di Jean sotto la maglia “…che stai facendo?”
“Anche tu sei agitato…” rispose lui, poggiandogli la mano sul petto “…mamma mi ha insegnato a sentire dove batte il cuore…” precisò “…perché non piangi?”
Joe si voltò di nuovo verso il mare, chiuse gli occhi per un momento…
“Ridi un po’…”
Jean non se lo fece nemmeno ripetere: “Rispondimi però…”
Joe si alzò, dando un buffetto sulla fronte del figlio…
“Tu continua a ridere…” disse, avviandosi verso il basso dove Françoise lo stava aspettando…
Jean fece per seguirlo, poi tornò indietro all’improvviso… Joe riusciva soltanto ad immaginare il terrore che il figlio stava tentando di ignorare pur di dire qualcosa sul limite della scogliera…
“Ero un po’ agitato anche io… mi ha fatto piacere conoscerti… nonna…”
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Ridi un po’
“Papà, ho capito cosa volevi dire!”
Jean esordiva sempre così… se non capiva qualcosa, ci ragionava un paio di giorni, se la faceva spiegare da Françoise, e poi arrivava da lui come una furia…
«Ho capito cosa volevi dire!»
“Cosa?”
L’abitudine per Jean, comunque, era sempre una vittoria deliziosa…
“Che mi vuoi bene…” sghignazzava, soddisfatto… anche se non c’entrava niente.
Rispondeva sempre così e si beava ogni volta perché Joe non lo negava mai… al massimo chiedeva: “e poi?”
Jean si guardò intorno, circospetto… abbassò un po’ la voce, forse era anche un pochettino insicuro…
“Ha detto mamma che non è vero che tu non piangi mai… non lo fai perché altrimenti io sarei triste e a te piace sentirmi ridere invece di piangere…”
Jean gli lanciò uno sguardo obliquo, indagatore… voleva vedere se era stato in grado di capire e spiegare tutto per bene.
Joe lo fissò con attenzione, inginocchiandosi davanti a lui… Jean piangeva per qualsiasi assurdità, anche se ogni tanto gli veniva in mente di ostinarsi a fare il duro… aveva la lacrima facile, come tutti i bambini del resto…
“Pensi di poter fare lo stesso per me?”
Il bambino valutò la situazione per qualche istante, pensieroso… probabilmente non aveva voglia di impegnarsi in qualcosa di troppo impegnativo…
“Jean...”
“Ridi un po’!” gli rispose lui, tentando di fargli il solletico…
Joe ne sorrise, con il viso nascosto tra i suoi capelli…
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Eccezioni
Jean se ne stava disteso sul tappeto come se non esistesse posto più comodo al mondo…
Il camino lo riscaldava e gli illuminava il disegno a cui stava lavorando… non era proprio soddisfacente, c’erano troppe linee storte… Jean osservò di nuovo il viso di sua madre, intenta a leggere sul divano… aveva gli zigomi un po’ più alti, gli occhi non somigliavano per niente ai cerchi che aveva disegnato lui… si accigliò per un istante, poi decise che dopotutto poteva andare così… aggiunse un ombrello e finì di scrivere il suo nome in fretta e furia quando sentì la porta di casa che si apriva… non stentò a notare che quando il papà entrò in soggiorno tutto fradicio per la pioggia la mamma gli dedicò solo un cenno e tornò a leggere il librone che stringeva tra le braccia.
Jean sospirò nel notare che il cenno di suo padre era stato ancora più tirato e teso… si affrettò a seguirlo in bagno e a piazzargli il disegno tra le dita, sostituendolo all’asciugamano che Joe aveva recuperato da un mobiletto vicino… Jean cominciò a strofinargli i capelli con energia al punto da fargli male, ma lo lasciò lamentare in silenzio…
“E questo cos’è?”
Jean arrossì un po’ quando si accorse che lui stava scrutando con attenzione il suo disegno… c’erano la mamma e il papà – con le facce che avevano quando non litigavano  - e poi c’era un ombrello, e dentro l’ombrello il suo nome… era suo compito tenerli vicini se tentavano di allontanarsi…
“Quando chiedi scusa?...” indagò, e quando ricevette in risposta uno sguardo scandalizzato aggiunse “…se non chiedi scusa non avrai il bacio del buongiorno nemmeno domani…” e così pensava di chiudere l’argomento… non che gli importasse molto, dopotutto, potevano sempre fare come quella mattina: la mamma era andata a svegliarlo cinque minuti prima e gli aveva chiesto di passare a svegliare il padre con un bacio rumoroso e schioccante… però qualcosa gli diceva che invece il papà voleva due baci la mattina…
“Io non devo chiedere scusa, Jean…”
“E perché io devo chiedere sempre scusa?”
“Perché tu combini guai uno dietro l’altro…”
“E tu invece che hai fatto?”
Joe sospirò, togliendogli il telo di mano e prendendo a tamponarsi i capelli per conto suo…
“Ai grandi non sempre basta chiedere scusa, Jean…”
“E quindi come si può fare pace da grande?”
“Parlando…” rispose lui, arricciando il naso “…e facendo qualche eccezione…”
Jean ci mise un po’ ad assorbire la notizia, e prima che il padre lo lasciasse nel bagno per andare a fare razzia della cena in frigo, trovò anche il tempo di urlare che “La prossima volta che mi fai arrabbiare allora devi fare un’eccezione anche per me!”

 

Parte 7

Ha bisogno di una cosa.
Joe pensava di sapere cosa sarebbe successo nel momento in cui avesse varcato la soglia di casa… la voce di Françoise lo avrebbe accolto, per esempio… bienvenue, bentornato, con l’evidente sottotitolo «spero che sia abbastanza in forma da sopportare me e i miei capricci del momento»o forse era Jean che gli lasciava intendere qualcosa del genere… in ogni caso, era certo che almeno uno di loro non aspettava altro che abusare di lui…
Bienvenue caro… entrando controlla se a Jean serve qualcosa…”
Tutto nella norma…
“E poi potresti passare ad apparecchiare la tavola? Io ho altro da fare…”
E l’odore suggestivo che proveniva da poco lontano suggeriva chiaramente che la cucina era sul punto di trasformarsi in un inferno. Ultimamente tutto, nelle mani di Françoise, finiva per bruciare, chissà per quale motivo poi… quando glielo aveva fatto notare lei gli aveva risposto che anche lui, ogni tanto, tra le sue mani, bruciava…
Joe annuì… la routine era diventata in un certo senso confortante… gli piaceva poter predire tutto quello che succedeva nella sua famiglia… perciò rimase congelato quando la vista di Jean gli provocò una stretta allo stomaco.
Stava bene, apparentemente... neanche si era accorto che lui era tornato, altrimenti si sarebbe dato una mossa a saltargli tra le braccia e a rovesciargli addosso una lista infinita di preghiere e capricci… semplicemente, giocava… e giocava da solo… e adesso era più facile capire perché Jean da un po’ si era messo in testa di imparare a fare le voci.
Tentava di far interagire due peluche… a uno mancava il braccio, ma anche questo non era niente di sorprendente, soprattutto perché il braccio amputato era in bocca all’altro.
Quello che fece tremare Joe era la velocità ed il cipiglio con cui Jean passava ad impersonare prima un peluche e poi un altro, sbuffando furiosamente per la fatica.
Joe lo fissò per qualche istante prima di ritornare sulla strada per la cucina… si rilassò contro lo stipite della porta, eppure il mondo continuava a tremare… Joe non riusciva a capire come fosse possibile che Françoise non se ne accorgesse… doveva dirglielo, in qualche modo…
“Gli hai detto che è quasi ora di cena? Ha bisogno di qualcosa?...”
Tutto tremava… perché Jean era solo… aveva addosso una solitudine che né lui né lei potevano colmare.
Joe annuì senza nemmeno accorgersene, mentre le si avvicinava, a piedi nudi… gli sembrava di camminare su acque agitate…
“Ha bisogno di una cosa, sì…”
“Di cosa ha bisogno?” indagò, attentamente…
Joe le adagiò con tenerezza una mano sul ventre…
Il mondo smise di tremare quando Françoise spalancò gli occhi… erano tanto grandi da abbracciarlo tutto, da calmare anche il caos.
E allora il mondo diventava pronto per esplodere… di nuovo… di vita… meravigliosa…

Il regalo più grande.
“Proviamo a parlargliene ora?” propose Françoise…
Joe annuì, voltandosi verso Jean quando si accorse che stava entrando in cucina…
“Vieni qui, piccolo…” lo chiamò, sollevandolo da terra appena lui gli si avvicinò… Joe lo poggiò sul bancone, poco distante dai fornelli, abbastanza da tenerlo al sicuro…
Françoise lo osservò per qualche istante, poi si rassegnò a dover cominciare, mentre Jean si premurava di tenersi le braccia del padre attorno ai fianchi anche se la seduta era sicura…
“Jean, ti sei comportato bene ultimamente?”
Il bambino la guardò con sospetto, davanti agli occhi evidentemente aveva tutte le malefatte dell’ultimo periodo...
“Certo, mamma…”
Françoise sorrise, divertita… non si era aspettata una risposta diversa, ma sentirla pronunciare con voce angelica era sempre un po’ stupefacente…
“Noi vogliamo farti un regalo, ma per averlo devi promettere che ti comporterai sempre bene… solo i migliori possono avere questo regalo…” spiegò, vaga ma perentoria…
“Cos’è?...” indagò Jean, già felicissimo “…papà, diglielo anche tu che ieri sono andato a letto presto anche se lei era al lavoro…”
Lo sguardo di Joe si assottigliò: “Mi hai fatto leggere una storia terribile, Jean…”
Il bambino lo scrutò offeso, negli occhi aveva la promessa di una vendetta particolare…
“Comunque…” divagò, per assicurarsi di non farsi sfuggire niente “…dov’è il mio regalo?”
“Arriverà…” lo rassicurò Françoise…
“Ma cos’è?”
“Un… fratellino…” sfiatò Joe, di colpo…
Jean rimase interdetto, con gli occhi spalancati, la bocca un po’ aperta… la meraviglia sul suo viso era delicata ma consistente, quasi concreta… ci mise qualche istante per rielaborare la notizia… il sorriso, subito dopo, gli venne naturale…

Uno oggi e uno per sempre
Joe dovette lottare non poco per tirare suo figlio fuori dalla vasca…
“Stavo raccontando una cosa alla mamma, dovevo finire!” sbraitò Jean, scalciando tra le sue braccia…
“Stavi parlando con la pancia di tua madre, per essere precisi…”
Françoise li osservava divertita in mezzo a tanta schiuma mentre Joe tentava di piazzare un asciugamano sulla testa di suo figlio… lo avvolse velocemente nell’accappatoio e se lo trascinò nella stanza…
“Non muoverti!” lo avvertì, uscendo di corsa…
Naturalmente, Jean si affrettò a scendere dal letto e a macchinare in giro per la stanza…
Joe, spiandolo da fuori, annuì soddisfatto… era sempre un piacere notare che tutte le sue predizioni si avveravano nel giro di pochi secondi… ce n’era una però che gli stava creando qualche problema… per esempio da qualche mese Jean si era deciso a non offendersi più per nessun insulto e a non chiedere più alcun regalo: “Voglio solo il migliore!” dichiarava, solenne, quando a Françoise veniva in mente di indagare.
Joe aveva accolto quelle ammissioni con sospetto, poi con timore… niente, neppure un fratello amato già prima di venire al mondo, doveva costringere Jean a crescere prima del tempo.
Françoise era della stessa idea, ma prendeva le cose con più leggerezza… ora era lì, vicino a lui, che sorrideva guardando di nascosto suo figlio che si rigirava tra le mani un regalo inaspettato… Jean era felice…
“È impaziente di potersi occupare di suo fratello, mica stupido… lo sa che questo regalo è per oggi e l’altro è per sempre… ed è comunque capace di goderseli entrambi…” disse lei, meravigliosamente rapita…

Risposte
“È vero papà, è il regalo migliore del mondo…” sospirò Jean, emozionato “…ma non è strano che il regalo migliore del mondo sia anche un po’ bruttino? Di faccia, dico…”
Joe si ritrovò a trattenere una risata, scrutando l’ultimo regalo che lui e sua moglie avevano fatto a Jean... il bambino si sporse velocemente verso di lui, di nuovo, pregandolo di fargli stringere tra le braccia «il suo regalo»… l’aveva detto così tante volte che ormai anche le infermiere avevano capito quella storiella…
“Siediti lì…” gli disse Joe, prendendolo sul serio… gli sistemò il regalo contro il petto, vicinissimo.
Gli mancò un po’ il fiato quando si accorse che i suoi figli sembravano già una cosa sola mentre erano tanto stretti…
Il regalo di Jean scoppiò in lacrime quando avvertì un minimo movimento del fratello… Jean lo scrutò colmo di disappunto…
“Uffa, ma sei proprio insopportabile!” sbuffò, calcando l’ultima parola…
Joe sollevò un sopracciglio, dubbioso… era già arrivato al punto di non sapere a chi dei due figli dedicarsi prima, soprattutto quando Jean invece di mollare la presa si era intestardito a dare un buffetto sulla fronte del suo regalo.
Joe glielo tolse dalle mani velocemente, cercando di porre fine a quel pianto disperato…
“Secondo te l’ha capito che gli voglio bene?” indagò sostenuto Jean, nascondendo nel fondo dello sguardo un po’ di apprensione.
Joe si abbassò per andargli più vicino e guardarlo negli occhi… era tranquillo, anche se la vita stava esplodendo sotto le sue dita… bellissima…
“Si dice «le voglio bene», Jean…”
E lei aveva capito che il fratello le voleva un mondo di bene… ci mise solo qualche mese a rispondere, quando pronunciò la sua prima parola…
Sciàn….

© 06/05/ 2013

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